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Grottazzolina

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GROTTAZZOLINA ANTICA – I PICENI

Scavi archeologici effettuati tra Ottocento e Novecento nel territorio intorno a Grottazzolina permisero di in­dividuare tracce di insediamenti umani risalenti all'età neolitica, ma soprattutto alcune tombe picene dell'età del ferro. In particolare negli anni Cinquanta, un'esplo­razione della Soprintendenza di Ancona portò alla luce XXVII sepolture dove si trovavano numerosi reperti. I corredi funerari erano composti di vasi, armi, collane, pendagli, fibule ed oggetti ornamentali. I Piceni furono un popolo misterioso la cui lingua è anco­ra sconosciuta. Essi non lasciarono resti di edifici, perché le loro abitazioni erano fatte di creta e canne palustri. A quel tempo il territorio intorno a Grottazzolina era ricco di boschi ed essi praticavano la caccia, anche se eserci­tavano forme rudimentali di agricoltura. Era una socie­tà retta probabilmente da un capo, ma non nella forma dell'organizzazione monarchica. Quando li sottomise con la forza, Roma costruì dei pre­sidi militari; i resti di uno di quei presidi erano visibili a Passo di Colle fino a pochi decenni fa. Il territorio della Media Valle del Tenna seguì poi le alterne fasi di Roma, repubblicana e imperiale, fino alla sua caduta nel 476 d.C. Ulteriori Approfondimenti Pagina Archeologia.... 

 

 

GROTTAZZOLINA NEL PRIMO E TARDO MEDIOEVO

L'Italia subì le invasioni di diversi popoli barbari che pro­vocarono sconvolgimenti politici, sociali ed economici, portando distruzione e morte. Gli insediamenti presenti nel territorio di Grottazzolina, come quello di Crypta e di Montebello, vennero distrutti. I Longobardi divisero in due Ducati il Piceno e il territorio fermano venne assegnato al Ducato di Spoleto. Nel IX secolo, con la ri­costruzione del Sacro Romano Impero e la sconfitta dei Longobardi, Fermo, con i suoi castelli, scelse di apparte­nere al papato. Un secolo dopo cominciarono a sorgere molti castelli nel sud delle Marche. Sulla data di fondazione del fortilizio di Grottazzolina vi sono due ipotesi. La prima sostiene che sia stata una collaborazione tra il Duca di Camerino e il vescovo di Fermo ad avviare la ricostruzione di Grottazzolina. Più realistica sembra invece la posizione di chi sostiene che siano stati i monaci farfensi ad operare la fondazione del castello e del nucleo abitativo. I monaci benedettini di Farfa, nella Sabina, edificarono monasteri tra il Lazio e le Marche, bonificando terre e dando un forte impulso alla rinascita civile ed economica. Quando gli assalti dei saraceni a Farfa divennero più in­tensi e la resistenza disperata, l'abate Pietro nell'890 in­viò un gruppo di monaci nel Fermano (dove erano già presenti), che presero Santa Vittoria come sede princi­pale. I Farfensi fondarono molti conventi, permettendo così la nascita di piccoli centri urbani. Anche Grottazzo­lina, come nucleo abitativo, fu dunque amministrata dai monaci, beneficiando dei lasciti che i signori offrivano al Monastero e che utilizzavano per migliorare la vita dei contadini, con la distribuzione di terre disboscate e il miglioramento del centro abitato. La denominazione più antica era "Montebello". Ulteriori Approfondimenti Pagina Castelli....

 

DAL SEICENTO A NAPOLEONE 

II Seicento sarà caratterizzato dalle continue liti tra Grottazzolina ed altri castelli con Fermo. Il governo grottese rispecchiava quello di Fermo, con i tre ordini di Consigli: il Consiglio Generale o dei capifamiglia; il Consiglio Pub­blico, composto dal Podestà e da sei Massari; il Consiglio Particolare, o 'cernita'. I castelli però lamentavano di essere gravati da troppe tasse e, soprattutto, denunciavano che ai fermani se ne imponevano meno. L'economia di Grottazzolina e dei Castelli si basava sulle produzioni dei cereali, che Roma esigeva in parte. In questo secolo si verificò la cosiddetta "piccola glaciazione", con inverni lunghi e fred­di ed estati piovose, che portarono ad una drastica dimi­nuzione delle produzioni. Alcuni misero in atto delle gravi speculazioni a danno dei poveri. Il pane veniva cotto nel forno casalingo, ma vi era anche il "forno comunale", affit­tato all'asta. In quegli anni di cattivi raccolti il fornaio era accusato di speculare sulle difficoltà del popolo. A Grottazzolina, come negli altri Castelli, era stato isti­tuito il Monte Frumentario, che, in casi di bisogno, pre­stava grano ai bisognosi da restituirsi col nuovo raccolto. Ma il perdurare della carestia e la tensione alta provo­carono nel 1648 gravi disordini a Fermo.

 

(Case a schiera nel quartiere Castello - sec. XVIII)

 

Era governa­tore mons. Uberto Maria Visconti, che mediava tra le richieste di nuove consegne di cereali da parte di Roma, gli interessi dei nobili proprietari di terre e i bisogni del popolo. Ad una nuova richiesta di grano da Roma, i no­bili sobillarono i castelli contro il Visconti. Questi allora impedì che si riunisse il Consiglio Generale dei Castelli, al quale avrebbe dovuto partecipare anche il rappresen­tante di Grottazzolina. Istigato dai nobili fermani, il po­polo insorse uccidendo Visconti e il servo. La risposta di Roma fu durissima, perché disordini a cau­sa della carestia si verificarono anche in altre città dello Stato e in altri Stati d'Europa. Per questo la Santa Sede ritenne di intervenire in modo esemplare. Qualche settimana dopo l'assassinio, infatti, arrivò in una Fermo quasi completamente svuotata Mons. Imperiali con una scorta di soldati. Egli istruì rapidamente un pro­cesso che comminò pene severissime e requisizioni di beni appartenenti ai nobili coinvolti. Ripristinata la legalità, riprese il contenzioso tra Fermo e i Castelli, a causa delle tasse sempre più esose.

Nel 1709 Grottazzolina partecipò inutilmente al ricorso contro il governo fermano a Roma. E una nuova protesta venne avanzata nel 1738. In quegli anni era in atto una guerra tra spagnoli e austriaci che toccò anche il Fermano. Il papa aveva concesso alle trup­pe spagnole l'attraversamento delle Marche. Così verso la fine di gennaio del 1742, giunsero nel Piceno oltre 27.000 armati, che gravavano sulle popolazioni dei territori. Il 14 marzo 1743 alcune centinaia di soldati spagnoli giunsero, dopo essere stati battuti dagli austriaci, nel Fermano. Un mese dopo, il 26 aprile 1749, il Comune fu costretto a contrarre un mutuo di 934 scudi, per far fronte ai danni arrecati dal passaggio delle truppe. Gli anni seguenti trascorsero in condizioni di relativa tranquillità, anche se non mancheranno contrasti con Fermo a causa delle tasse. Ma una nuova fase storica sta­va per iniziare, perché arrivavano le notizie della rivo­luzione in Francia, della morte del re, della repubblica e poi dell'esercito napoleonico vittorioso in Italia. Il 29 aprile 1797, le forze francesi entrarono a Fermo e assun­sero il controllo del territorio. Le Marche vennero divise in Dipartimenti, Cantoni e Comuni. Il Dipartimento del Trento aveva come capoluogo Fermo ed era composto da 16 Cantoni e 147 comuni. Grottazzolina, come gli altri Comuni, ebbe a capo un sindaco. La spoliazione sistema­tica delle ricchezze artistiche e le angherie dei francesi portarono alla ribellione degli "insorgenti", che cercarono di contrastare il potere dei repubblicani. Nel 1799, con il ritorno degli austriaci in Italia, il Ferma­no fu riassegnato alla Santa Sede e vi restò anche quan­do Napoleone riprese il controllo della penisola. Ma, nel 1808, dopo i contrasti tra l'imperatore e Pio VII, le Mar­che furono unite al Regno Italico. I francesi promossero un'azione riformatrice che permise di svecchiare la classe dirigente e di razionalizzare l'organizzazione dello Stato e dell'economia. Dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo e il Congresso di Vienna che riaffermava lo status quo, Grottazzolina tornò al Papa.

 

L’OTTOCENTO

Ma le novità napoleoniche non potevano essere annullate ed infatti era alto il fermento tra la borghesia marchigia­na. Macerata fu la prima città italiana a ribellarsi, già nel 1817. Altri moti seguirono nel 1821 e nel 1831. Nel 1849 Grottazzolina fu con la Repubblica Romana, poi di nuovo sotto il papa. Nel 1855 scoppiò una terribile epidemia di colera che causò numerosi decessi. L'attività economica però cresceva e comprendeva oltre a quella agricola anche l'industria serica e due filande: quella di Onorato Conti e di Cesare Mori, mentre lo Stato Pontificio era ormai pros­simo alla fine. Infatti nel 1860, dopo la battaglia di Castelfidardo, Grottazzolina fece parte del Regno d'Italia. Le votazioni per il plebiscito del 4 e 5 novembre videro però una scarsa affluenza alle urne: dei 352 aventi diritto se ne presentarono solo 77. L'anno dopo, il governo nazionale decise di togliere a Fermo la provincia e la unì a quella di Ascoli. Fermo e molti Comuni sollevarono delle prote­ste. Il Municipio di Grottazzolina scrisse anche una lettera sperando in un ripensamento che non ci fu.

Il nuovo Stato istituì la coscrizione obbligatoria e i giovani grottesi partivano per il servizio militare, abbandonando spesso attività familiari importanti. Nel 1866 vi fu la Terza Guerra di Indipendenza con le disastrose sconfitte di Custoza e Lissa; quel tributo di sangue permise all'Italia, al­leata della Prussia, di ottenere il Veneto. A Grottazzolina l'amministrazione comunale si impegnò a migliorare la vita dei cittadini: si fondò una biblioteca popolare, si aprirono le scuole elementari, si restaurarono le fontane pubbliche, si riattarono le strade. Nel 1879 il paese, su richiesta della Società Operaia, ebbe la Condotta medico-chirurgica, di cui il primo medico fu il dott. Nicola Di Paolo. Poi arrivò il servizio di messaggeria e nel 1883 anche l'Ufficio Posta­le. La passione di molti grottesi per la musica fece nascere in quegli anni anche un corpo bandistico, con l'impegno del Comune di provvedere alle spese del Maestro. Nel censimento del 1889 risulta che Grottazzolina aveva 1620 abitanti, di cui 506 nel centro urbano e il resto nel­le campagne. L'emigrazione cominciò ad essere presente anche nel Fermano, e numerose furono le partenze per le Americhe.

 (Gruppo della Filodrammatica (fine '800)

 

IL NOVECENTO

La morte improvvisa del re Umberto I, per mano dell'anarchico Bresci a Monza, provocò tale sdegno e commozione da indurre il Comune a proclamare tre mesi di lutto cittadino. I conflitti sociali e le tensioni politi­che erano alti e solo in parte controllati dalla politica di mediazione avviata da Giolitti. Nel 1903 presero il via i lavori per la costruzione della ferrovia Adriatica-Fermo-Amandola (A.F.A.), che prevedeva anche una stazione a Grottazzolina. Dopo quasi 5 anni di lavori, il 14 dicembre 1908, senza alcuna cerimonia ufficiale, il trenino effettuò la sua prima corsa da Amandola a Porto San Giorgio. Nel 1912 l'Italia si lanciò alla conquista della Libia, la guerra fu rapida ma vi lasciarono la vita 3 grottesi. La grande colonia africana non risolse i problemi interni e si riaccesero i contrasti sociali fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Anche a Grottazzolina, come nel resto dell'Italia, l'opinione pubblica si divise tra interventisti e neutralisti. Pur essendo questi ultimi maggioritari perché sostenuti dalla Chiesa e dalle associazioni operaie e so­cialiste, il re Vittorio Emanuele III decise diversamente e anche i grottesi partirono per la guerra. L'allontanamento di tanti uomini dai campi e dagli opifici artigianali provocò gravi problemi all'economia del paese. Le donne dovettero prendersi carico delle famiglie e del lavoro, in ansia per una guerra lontana che richie­deva continui sacrifici.

Dopo la disfatta di Caporetto, il 9 dicembre 1917 ebbe luogo a Grottazzolina una mani­festazione per la resistenza interna, la Giunta deliberò: "... tutti gli animi battano concordi, accesi dal fuoco vivissimo dell'amore patrio, nella filiale adorazione per questa eterna Italia, meravigliosa plaga, prediletta dalla natura ed altamen­te illustrata dalla storia". A guerra conclusa, oltre ai molti feriti e invalidi, risultarono morti 32 soldati grottesi; 5 furono i decorati al valore militare, tra essi il Tenente degli alpini Catini Ludovico. Il primo dopoguerra ripropose drammaticamente le gran­di questioni sociali. La disoccupazione era alta anche nei piccoli Comuni del Fermano. Per andare incontro a questi problemi, la Lega Muratori chiese al Comune di Grottazzolina di avviare dei lavori pubblici: iniziò allora la costruzione dell'edificio scolastico. Il 13 ottobre 1920, quando si riunì il Consiglio per eleg­gere il nuovo sindaco, tra gli interventi vi fu quello di Vincenzo Monaldi, futuro luminare della Medicina. Ludovico Catini ebbe la maggioranza dei voti, ma si dimise un mese dopo per dissidi col Consiglio. Lo sostituì proprio Vincenzo Monaldi, che aveva da poco compiuto 21 anni e risultò il più giovane sindaco d'Italia. Egli avviò importanti lavori di pubblica utilità: la costruzione del lavatoio, delle latrine, delle condotte d'acqua per l'ospedale, delle strade e dell'allaccio alla linea elettrificata.

Intanto cambiava il qua­dro politico nazionale con Mussolini al governo. Monaldi continuò ad operare per il bene dei suoi concittadini e il 25 marzo 1923 diede l'appalto alla locale Cooperativa Edile per la costruzione del nuovo Municipio, che doveva essere re­alizzato in "puro stile romanico". Il mese successivo, però, il più giovane sindaco d'Italia, a causa della sua appartenenza politica (consigliere provinciale del REI.) venne "purgato" in Ascoli Piceno dal nuovo potere fascista. A Grottazzolina venne sostituito con il commissario di no­mina prefettizia Bruno Nunzi, il quale decise di conferire la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini. Il Commissario prese il nome di Podestà. Il 22 febbraio 1926 fu scelto Ludovico Catini, che rimase in carica fino al 1934. Gli successe il fratello Francesco, nel periodo della guerra d'Etiopia e della successiva proclamazione dell'Impero, cui diedero la vita anche 4 grottesi. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, il Podestà era il geom. Roberto Pompei, che restò in carica fino al 1944, quando Grottazzolina venne liberata dall'occupazione nazifascista. Furono anni terribili per i grottesi alle prese con la penuria di prodotti alimentari, il mercato nero, il terrore dei rastrellamenti di tedeschi e fascisti. Nelle case in campagna, ma anche in paese, la popolazione grottese nascose centinaia di ricercati che se presi sarebbero stati deportati nei campi di concentramento tedeschi. Si trat­tava di prigionieri alleati fuggiti dai Campi di Fermo (l'ex conceria) e Servigliano, di ebrei, di giovani renitenti alla leva, di soldati sbandati.

La Liberazione, infine, permise di piangere i 19 grottesi morti nei diversi fronti, di censire e valutare le distruzioni ma anche di aprire nuovi oriz­zonti politici con il confronto tra Democrazia Cristiana e partiti di sinistra. Alle prime elezioni amministrative a Grottazzolina vinse il fronte della sinistra, ma nel corso degli anni si alterneranno le maggioranze. Nonostante l'impegno di tutti gli amministratori dei Comuni interessati, nel 1955 venne smantellata l'A.F.A. e il servizio di trasporto ferroviario sostituito dai pullman. Nel 2004, dopo un'intensa e ampia mobilitazione popo­lare e delle amministrazioni locali della Valle del Tenna, si realizza il sogno storico della istituzione della Provincia di Fermo, che diventa operativa dopo le elezioni amministrative del 2009. Sindaci e Consigli comunali tutti, che si sono succedu­ti in questi decenni di democrazia e libertà, pur con le diverse caratterizzazioni politiche, hanno permesso alla comunità grottese di vivere un lungo periodo di sviluppo e benessere.

 (Veduta da sud-est , 1908)

 

ARCHITETTURA, ARTE E LUOGHI DI CULTO

L'antico abitato di Grottazzolina si sviluppa su un colle tra le valli del Tenna, a nord-ovest, dell'Ete vivo a sud-est. Oggi provincia di Fermo, ne dista 13 km circa. Pur non particolarmente elevato (la quota è 227 mt sul livello del mare) il belvedere dei giardini pubblici,affacciato sulla valle del Tenna, offre la tipica veduta mare-monti. Il centro storico, con i più antichi quartieri «Castello», che si erge su uno sperone tufaceo, e «Cozzana», sviluppantesi a ferro di cavallo dietro la parrocchiale, si anima e ferve ad ogni ricorrenza: specie per la festa patronale (primi di giugno) e per la rievocazione storica dei «Giorni di Azzolino», (primi di agosto). La Piazza Umberto I, che antecede il sagrato della parrocchiale stessa, è uno spa­zio digradante, derivato da demolizioni ottocentesche. Il palazzetto postale, che vi prospetta, occupa lo spazio del torrione medievale, crollato nel 1964. L'abitato si espande verso sud a raggiungere, per il rettifilo di Corso Vittorio E. II, la chiesa del SS. Sacramento e Rosario; e a nord-ovest, sotto le mura, in Piazza Mar­coni. Le due chiese, maggiori monumenti locali, ove si conser­vano importanti opere d'arte, quando aperte al pubblico di fedeli e turisti, destano sorpresa per le inaspettate qua­lità dei rispettivi interni. I semplici ed essenziali volumi esterni, a cortina di mattoni, si inseriscono bene nello standard edilizio del paese, caratterizzato - con poche moderne eccezioni - dalla muratura in mattone ferma­no a faccia vista; e se ne distaccano solo per le maggiori quote e volumetrie.

Lungo il corso si innalza il Palazzo comunale, completa­to nel 1926 in stile neomedievale. Il progetto del Ping. Bruno Nunzi fu realizzato dalla cooperativa l'Edile guida­ta da Elpidio Elpidi. Ben inserito nella prospettiva della via, presenta un corpo di fabbrica parallelepipedo con magazzini seminterrati, uffici sul piano strada e la sala consiliare al primo piano. La facciata monumentale è nel lato est, con scalinata d'accesso e profondo archivolto a protezione del portale. Al di sopra è una finestra balcona­ta in corrispondenza dell'ufficio del sindaco, a sua volta superata dalla svettante torre dell'orologio a coronamen­to merlato. Le finestre a bifora interrompono la cortina parietale di mattoni rossicci. Altro importante monumento civile è il teatro comunale Ermete Novelli, che fiancheggia la chiesa del SS. Sacramento al culmine del corso. È in stile liberty, essendo costruito nel 1914 per iniziativa di un nutrito gruppo di condòmini. La facciata, ultimata recentemente, è in stile classico. L'interno è capace di circa 230 posti, distribuiti tra la platea e una galleria a ferro di cavallo. L'insieme, scevro da pesante apparato decorativo, acquista in spazialità funzionale. Il tessuto architettonico di Grottazzolina, paese tutt'oggi noto per la valentìa delle sue maestranze edili, per i suoi fornaciai, cementisti, carpentieri e muratori, reca buona traccia di questa tradizione nelle facciate delle case, nella particolarità di portali e finestre, di profilature marcapiano e cornicioni. Il mattone domina largamente, col suo colore caldo e sensibile alle variazioni della luce ambien­tale. Antichi modelli classici, reinterpretati nell'800, suggerirono la forma dei cornicioni a dentelli, a mensole, le modanature delle cornici, e i non grandi ma elaborati portali, per lo più ad arco con bugne a raggiera.

Il paese, accanto alle case della piccola borghesia artigiana, anno­vera alcune dimore di maggiore volumetria con interni di qualche pregio. Il quartiere Castello, ormai privo di emergenze monu­mentali, per vicende di crolli e demolizioni dello scorso secolo XX, conserva, in condizioni precarie, il semplice vano rettangolare della Chiesa di S. Monica; due lapidi la dicono eretta nel 1641. Restano, sull'altare, gli arredi sacri ed una pala, di recente restaurata, con Santa Moni­ca tra due santi in sacra conversazione con la Vergine e il Bambino: autore è Antonio Liozzi (XVIII sec.). Una piccola chiesa suburbana, S. Maria delle Grazie det­ta anche «a pie di costa», sorta nel '600 per ampliamento di un'edicola sacra del '400, sopravvive in via del Trocchio, in una "sella" che veniva percorsa da viandanti e pellegrini, che - sostandovi - hanno graffito sui dipinti nomi e date. Meglio conservata, una figura di S. Seba­stiano alla colonna, riferibile a Giacomo di Nicola da Recanati (XV sec.). Nella contrada S. Isidoro, alla piana del Tenna, è situa­ta una piccola Chiesa intitolata al Santo protettore dei contadini; di forma rettangolare, con copertura a capan­na e portichetto con tre arcate, le si addossa la altrettanto semplice casa del custode. Qualche rara casa colonica si conserva ancora nelle campagne: notevole, in zona sta­zione, la casa già Rossetti, con tetto a padiglione e grande cucina centrale.

Il territorio conta ancora quattro fonti murate distribuite in località strategiche per l'approvvigionamento d'acqua potabile: Fonte Rotta, a mezza costa della strada omonima,con due vasche coperte ad arco e piccolo lavatoio (o abbeveratoio); Fonte Monteleone, lungo la strada che scende alla vai d'Ete, con vasca a ciclo aperto risalente al '700 e lavatoio ottocentesco; Fonte San Pietro, presso lo stadio, con tre vasche voltate, retrostanti vasche di raccolta e lavatoio coperto; Fonte Oraziani, ai piedi dell'omonima villa, semplice vasca con spalliera a profilo sinusoide datata 1880. Il Comune ha riscattato l'edificio della stazione della di­smessa ferroviaria A.F.A., risalente al 1908, disponendo di parte delle pertinenze. Non ancora riattata, la piccola stazione potrebbe fungere da struttura museale. Nella piazza Umberto I, nell'ospizio Benedetti interna­mente ristrutturato, è la biblioteca comunale, di recente costituzione. Vi è contenuto l'archivio Catalini con car­te, fotografie, documenti, riviste e alcune migliaia di vo­lumi. E intitolata ai Fratelli Catalini, intellettuali grottesi vissuti nel XX sec. All'ultimo piano dello stesso edificio è la documentazione fotografica permanente della stazione archeologica picena di Piane di Grottazzolina. Il sito, scavato nei primi anni '50, ha restituito una ven­tina di tombe picene, le cui suppellettili sono conservate nel museo archeologico di Ancona.  

 

Chiesa San Giovanni

La facciata della parrocchiale di San Giovanni Battista (secondo '600), con due ordini sovrapposti di paraste abbinate, ha un coronamento rettilineo a balaustrini. Il semplice campanile, che si innesta sul fianco destro, ha, sopra la cella campanaria, un cupolino a «cipolla». Queste caratteristiche sono comuni a molte chiese del fermano, ma il nostro San Giovanni si distingue netta­mente per l'interno: che presenta una pianta mossa da un'espansione ovoidale, con l'asse maggiore nel senso del­la lunghezza (ingresso-abside). Dei quattro altari laterali prospettanti obliquamente verso il centro dell'ovato, un rifacimento del 1926 ne sacrificò due, conservando quelli prossimi al presbiterio, con i dipinti raffiguranti S. Anto­nio di Padova (a destra) e le Anime purganti (a sinistra). I lati dei due altari demoliti ospitano due confessionali di legno di buona fattura, mentre nella parte alta delle rispettive pareti campeggiano le tele rimosse: un Transito di San Giuseppe a destra e un Angelo custode a sinistra, attribuiti ai pittori Ricci di Fermo (XVII-XVIII sec.). Fermana è pure la cospicua pala dell'altare maggiore, con il Battesimo di Gesù (1694), assegnata ad Ubaldo Ricci che, nelle robuste forme del Cristo e del Battista, echeggià i modi del Pomarancio. Ulteriori Approfondimenti Luoghi di Culto....  

 

Chiesa SS. Sacramento

La chiesa del SS. Sacramento e Rosario, posta prospet­ticamente al colmo del rettifilo ascendente del corso, fu eretta dalle due confraternite che le danno il titolo, nel secondo '700, con i fondi del lascito Alfonso Verzieri, un operoso e pio compaesano che nel '600 aveva legato i propri beni al fine di ingrandire la più antica ma angu­sta Chiesa di S. Petronilla, patrona di Grottazzolina. Su quel sito sorse la nuova Chiesa, presumibilmente sotto la direzione dell'architetto Pietro Agustoni, comasco, che operava a Fermo. La nostra Chiesa, dalla semplice pianta rettangolare absidata, ha la tradizionale facciata a cortina di mattoni, organizzata con coppie di paraste su due ordini sovrapposti; il coronamento è a timpano triangolare. Il campanile, con cella campanaria coronata da un cu­polino costolonato, affianca l'abside sulla destra. La forte sorpresa si ha non appena entrati, quando dalle sei alte finestre vediamo la luce naturale inondare l'interno, compiutamente e armonicamente decorato nel secondo '800 da Luigi Fontana e aiuti. La luce diffusa valorizza ogni dettaglio cromatico e plastico stabilito dal Fontana nell'unitarietà dello spazio, tutto godibile senza cesure d'ombra. Ulteriori Approfondimenti Luoghi di Culto......

 

CONTRADE  

Nel territorio di Grottazzolina non si contano frazioni, ma alcune contrade di più o meno antico insediamento, distribuite nelle diverse direttrici viarie, interessanti per il sito, l'intensità abitativa o per il pregio architettonico. Tra i più antichi insediamenti rurali, è quello sulla ame­na altura di Passo di Colle, da dove si possono ammirare entrambe le valli che affiancano Grottazzolina: del Tenna e dell'Ete. Perdute ormai le due Chiese che vi si incontravano, di San Marcelle e di Santa Filomena, oltre a qualche antica casa d'abitazione, vi sono sorte alcune residenze private, un ristorante, ed una azienda agrico­la che offre prodotti biologici. La vecchia contrada San Pietro, che prendeva il nome da una chiesa diruta e dalla omonima fonte (a tre fornici, in buono stato di conser­vazione), è un vero e proprio quartiere realizzato grazie a un piano di fabbricazione degli anni '60/'70. Adiacente all'abitato è la scuola media con spaziosa palestra: conti­guo lo stadio di calcio "A. Picchi". Prossimo al ponte che attraversa il Tenna, è il vivace e popoloso insediamento detto della Stazione, sviluppatosi quando (all'inizo del '900) entrò in esercizio la ferrovia A.F.A.. Discretamente conservato, coi tipici colori gialloocra, è visibile tutt'oggi l'edificio della piccola stazione, con magazzino merci annesso, acquistato dal Comune e in attesa di restauro per una destinazione museale.

Nella contrada Papa Giovanni, sviluppatasi come un vero e proprio quartiere dal 1970 circa, campeggia l'edi­cola architettonica che ospita il busto bronzeo del "Papa Buono", opera dell'artista grottese Valerio Valeri, "Azzolino"; una festa annuale di primavera si svolge nella contrada nei paraggi del monumento. Ben conservata è la schiera di case otto/novecentesche della contrada Cerquone, sita nel versante dell'Ete, con­tigua alla "Filanda", antico stabilimento bacologico ora B&B di notevole ambientazione; e alla villa "Aurora", dimora privata di stile liberty con torretta Belvedere. Ora solo zona di passaggio verso la riva destra del Tenna, la contrada Molino conserva l'edificio, attivo fino a qualche decennio fa, adibito alla molitura del grano, che sfruttava la corrente d'acqua incanalata dal Tenna. Adiacente era il "pistrino" per la molitura stagionale dell'oliva. Si conserva un vecchio incasato, e, tra le nuo­ve residenze, un efficiente servizio "catering". Le contrade diffuse nel territorio di Grottazzolina sono diverse altre ancora, per una ricca e suggestiva topono­mastica: "Ambrogi", "Fonte Carrà", "Piane", "S. Isidoro", "Filanda", "Spiarza", "Montebello", "Trocchio" e via battezzando.

 

ALTRI LUOGHI DI INTERESSE STORICO, CULTURALE E ARTISTICO

 

PERSONAGGI ILLUSTRI STORICI

 

TRADIZIONI FOLKLORE E TIPICITA’

Paese di muratori, fornaciai, calcinai. Grottazzolina ha sviluppato tra il XVIII e il XIX secolo l'arte del mattone, modellato a martelli­na e raspa. Oltre che nell'organizzazione delle facciate, le case bor­ghesi si distìnsero nei dettagli: modanature di cornicioni, finestre, cornici marcapiano e soprattutto nell'architettura dei portali. Il più antico è quello della casa parrocchiale che affianca la chiesa del SS. Sacramento. Fornaciai, un'arte che vide Grottazzolina fare scuola a livello regionale. Qui, infatti, si sono formati valenti artigiani e maestri del settore, poi attivi da nord a sud della regione. Una tradizione ancora oggi forte e sentita in paese (sono attive alcune tra le aziende storiche del mattone), oggetto anche di studi e tesi di laurea. Una delle tradizioni di cui la locale comunità va fiera. Ma non è questo l'unico "quid" che rende Grottazzolina appetibile agli occhi del turista e dei cultori della storia locale.  

 

Festeggiamenti in Onore della Beata Vergine del Perpeteo Soccorso

Grottazzolina ospita e promuove molte feste nel corso dell'an­no, ma solo una è "La Festa": per l'intensità della pietà religio­sa, per il valore storico della tradizione, per la continuità della partecipazione popolare. La devozione verso la Beata Vergine del Perpetuo Soccorso sembra avere la sua origine intorno agli inizi del Settecento, quando i cittadini grottesi, profondamen­te colpiti da un'immagine della Vergine delle Grazie, che i Padri Cappuccini avevano recato con loro durante una mis­sione, ne commissionarono una copia a Suor Giovanna Ricci di Fermo. Dal 1747 si ha memoria che in onore della Vergine si faceva l'offerta dei covi e in novembre si celebrava una festa solenne. Originariamente collocata in un Altare del Soccorso nella chiesa di S. Giovanni, l'immagine ormai polarizzava la storia religiosa e civile di Grottazzolina. Nel 1819 la celebra­zione fu spostata alla quarta domenica dopo Pasqua e, a partire dal 1856, "per provvedere meglio al gran concorso di gente", s'iniziò la consuetudine di trasferire nei giorni di festa l'immagine nella Chiesa del SS. Sacramento. Intanto, dopo il colera del 1857, cominciava a prendere corpo la ricca collezione di ex-voto, arricchita di anno in anno e portata solennemente in processione, con particolare orgoglio dopo il restauro.

Nel 1896 fu inaugurata la nuova cappella, in occasione del­la chiusura del mese mariano; molto probabilmente da quella data s'incominciò a parlare della "festa di maggio". Da allora, con una consuetudine encomiabile e appassionata, interrotta soltanto durante la seconda guerra mondiale, ogni anno Grot­tazzolina veste i panni della festa. Il comitato festeggiamenti si rinnova di anno in anno e ciò rende la manifestazione sempre più solida e radicata nel territorio. Con varie mansioni e incarichi, tutti in paese hanno lavorato e lavorano da volontari per i festeggiamenti in onore della Beata Vergine. Un vanto e un onore, partecipare all'organizzazione dell'evento religioso. Proprio l'alto livello del volontariato raggiunge risultati unici e straordinari. Cambiano i metodi di finanziamento (il "grano della Madonna" è stato progressivamente sostituito da introiti pubblicitari e dall'organizzazione di sagre e feste minori), ma gli ingredienti di base restano gli stessi: luminarie sfavillanti, spettacoli pirotecnici, bande musicali (rigorosamente meri­dionali e in modo particolare pugliesi, dove la tradizione in questo settore è molto forte), manifestazioni sportive, iniziati­ve artistiche e culturali sono il contorno molto interessante di una devozione forte e antica. Di generazione in generazione, quell'immagine dolce e incantata racconta ai cittadini grottesi la tenerezza di Dio. E lo spettacolo pirotecnico richiama puntualmente migliaia di spettatori, che abbinano il richiamo della fede al richiamo di assistere a un momento unico come le cascate e i caroselli di fuochi e giochi pirici, vera attrattiva della kermesse.

 

I Giorni di Azzolino – Rievocazione Storica del 1200

La rievocazione storica "I Giorni di Azzolino" si svolge nella prima settimana di agosto e celebra la figura di Azzo VII (Az­zolino), Marchese d'Este e della Marca Anconetana, potente Signore di Ferrara al quale Grottazzolina deve l'attuale denominazione. L'Estense, forte dell'investitura del Papa Onorio III, nel 1225 muove da Este (Padova) e contro la volontà di Rinaldo, Vescovo di Fermo, conquista la Marca del Guarnieri, arrivando a espugnare i tre castelli dei "Canonici" tra cui per l'appunto lo strategico fortilizio di Grottazzolina. La vicenda culmina col battesimo della città: l'antica Crypta Canonicorum diventa Gruptae Aczolini. Questa pagina di storia, ulte­riormente approfondita ha permesso di stabilire uno straor­dinario legame ufficializzato dalla costituzione del Consorzio storico culturale "Terre e Castelli Estensi" tra Grottazzolina, Este, la bellissima città veneta sede della famiglia marchio­nale e Ferrara il cui palio, il più antco del mondo (1279) è intitolato ad Azzo VII, paladino della chiesa e fiero avversario di Federico II.

Durante i giorni di festa, Grottazzolina, anche attraverso una rigorosa ricostruzione scenografica, torna a respirare un'atmo­sfera alto medievale: corteggi in abiti storici, giochi popola­ri, tornei di arco storico, botteghe di mestieri perduti, giostre equestri. Momenti clou del programma, oltre alle grandi cene medievali, sono rappresentati dalla "Battaglia" per conquista­re il Castello e il Battesimo di Grottazzolina. Nella giornata più intensa, in un clima di grande festa, Azzo VII e la sua corte presenziano l'ultimo evento: "La Giostra del Monaco". Unica giostra equestre con uso di mazza ferrata e proclamazione del "Paladino Estense" tra le città dell'Aquila Bianca. Nel 2001 si è costituita la Compagnia Arcieri di Az­zolino. Decine gli iscritti, la Compagnia partecipa ai cortei storici con 20 elementi, preceduti dal gonfaloniere, con abiti rigoro­samente duecenteschi, aventi la tipica sopravveste "quartata" nei colori ocra e amaranto; contraddistinti da uno scudo re­cante un'aquila bianca in campo azzurro (aquila estense). Gli arcieri sono fondatori oltre che della Cast (Confederazione Nazionale Arcieri Storici e Tradizionali) anche del "Torneo della Marca" che si svolge in forma itinerante ogni anno nel mese di aprile. Dal 2009 la rievocazione storica fa parte della AMRS (Associazione Marchigiana Rievocazioni Storiche).

 

Festa in Località Papa Giovanni XXIII  

Altro momento molto sentito dalla locale comunità è dato dai festeggiamenti in onore di Papa Giovanni XXIII, annualmen­te promossi negli spazi dell'omonima località Papa Giovanni XXIII dove oggi sorge una moderna edicola con busto bronzeo del Papa Buono firmata dall'artista grottese Valerio Valeri (Azzolino). Al programma religioso viene abbinato un car­tellone molto ricco fatto di musica dal vivo, giochi e stand gastronomici. E così ogni anno tantissi­ma gente si ritrova a festeggiare l'avve­nimento abbinato anche alla tradizio­nale fiera e a varie iniziative, come la mostra canina. La manifestazione trova le sue origini agli inizi degli anni Settanta. E tutto accade in modo curioso. Nel 1975 infatti Papa Giovanni XXIII appare in sogno al grottese Umberto Catalini, suo devoto. Dopo qualche mese, lo stesso Catalini riceve l'incarico dall'allora sindaco Ballila Ferracuti di promuovere una raccolta fondi tra gli abitanti del suo quartiere per la costruzione della rete idrica. Conclusi i la­ vori, si decide tra tutti i residenti del quartiere, alcuni dei quali avevano conosciuto il pontefice durante una visita a Loreto, di destinare la somma residua per la realizzazione di un busto in bronzo in memoria del Papa Buono. Per l'opera fu incarico il prof. Valerio Valeri, ordinario di disegno e storia dell'arte. Oggi il monumento collocato in un importante snodo viario rappresenta un vero e proprio punto di riferimento per l'intero comprensorio. Ogni anno nella prima settimana di maggio si svolge la festa popolare che viene organizzata da un apposito comitato.

 

TIPICITA’ - ENOGASTRONOMIA 

Galantina  

Marco Gavio Apicio, patrizio romano dell'età di Tiberio, nella sua celeberrima raccolta di ricette gastronomiche "De Re Coquinaria", tramanda una ricetta di "pollo ripieno" presente nei superbi banchetti dei signori, che molto si avvicinerà a quella tradizionale della galantina marchigiana. A parte l'uso di spezie oggi introvabili, i componenti principali sono gli stessi. Bisognerà però attendere il tardo Medioevo per veder comparire il termine galantina. All'origine questo indicherà il tipo di "gelatina anima­le" più diffuso nella cucina del XIV-XV secolo, rappresentando uno dei sistemi più efficaci e usati in tema di conservazione di cibi cotti. Così la galantina entra nella storia della cucina, ma solo nelle Marche assurgerà a simbolo gastronomico tipico. Il piatto diviene una costante nei tradizionali pranzi di Pasqua e Natale, in tutte le ricorrenze più importante.

Riportiamo di seguito la ricet­ta (originale e accertata) della "Galantina di gallina":

 "Scegliete una bella gallina (o pollo) matura e disossatela. A parte preparate la farcia impastando insieme:

  • 1 etto di parmigiano grattugiato;
  • 4 etti di carne magra di manzo macinata;
  • 4 uova crude;
  • 1 etto di prosciuttella tagliata a dadini;
  • 50 grammi di pistacchi;
  • un paio di carote tritate;
  • 1 etto di olive verdi snocciolate e spezzettate;
  • una spolverata di pepe bianco e sale.

Passate ora a farcire la gallina, sistematevi al centro un uovo sodo, richiudetela bene cucendola con un filo di cotone bianco. Nel frattempo avrete messo a bollire 3-4 litri di acqua salata con un paio di carote, una cipolla e una costa di sedano. Al primo bollore immergetevi la gallina e le ossa spolpate e lasciate cuocere il tutto a fuoco lento per tre ore almeno. Una volta cotta, la galantina va adagiata su di un piano rigido di legno o pietra. Ponetevi sopra un peso di 3-4 chili, lasciandola così raffreddare e schiacciarsi per almeno due ore. A questo punto la galantina è pron­ta: tagliatela ben fredda a fettine e servitela con cicoria bollita."    

 

Salame

II salame è carne insaccata e stagionata tipico della tradizio­ne fermana. Il nome deriva dall'operazione di salatura che si rende necessaria per assicurarne la conservazione. Il salame è ottenuto a partire da una miscela di macinato di carne, grasso, sale e spezie (aglio, pepe nero o bianco, macinato o in grani, finocchio, macis e altre a secondo degli usi locali). La carne maggiormente usata è quella di maiale. Il processo di stagiona­tura può essere favorito dall'introduzione di alcuni ingredien­ti quali latte, vino, destrosio, nitriti e nitrati. L'impasto può essere insaccato in un involucro di budello animale (solita­mente suino, ma anche ovino, bovino o equino), o artificiale (cellulosa o collagene quelli più utilizzati). La lunghezza varia dai 10 ai 60 cm, il diametro (calibro) varia da 3 a 15 cm. Una volta insaccato il salame passa di norma un periodo in locali di asciugatura (circa una settimana) per passare poi alla stagio­natura vera e propria, che varia a seconda della grandezza del salame (da due settimane per le salsicce stagionate fino anche a 6 mesi per prodotti tradizionali).

 

Ciabuscolo

II ciaùscolo (o ciabuscolo) è un insaccato tipico della regione Marche. Viene prodotto in particolare nel territorio fermano-maceratese, soprattutto nella zona dei Monti Sibillini e quindi in parte anche del contiguo territorio umbro. Di un invitan­te colore rosato è un salame spalmabile, costituito da polpa e grasso di maiale (in percentuali variabili) con l'aggiunta di sale e spezie quali pepe nero e aglio pestato. L'impasto ricava­to al termine di almeno due macinature di questi ingredienti, viene insaccato in un budello anch'esso di maiale (o sintetico) e dopo la stagionatura che va da alcune settimane ad alcuni mesi (a seconda che si preferisca il ciaùscolo più o meno mor­bido) è pronto per essere consumato. L'etimologia del termine viene da alcuni fatta risalire al latino "cibusculum", ovvero piccolo cibo dal momento che questo gustoso salume viene spesso spalmato su piccole fette di pane; il termine dialetta­le "ciausculu", se­condo altri, inve­ce, deriverebbe dal budello gen­tile utilizzato per gli insaccati. La produzione nelle Marche si attesta sulle 600 tonnella­te l'anno. Il 4 settembre 2009 il ciabuscolo è stato registrato dalla commissione Uè tra le Indicazioni geografiche protette (Igp).    

 

Coppa (di testa)

In alcune località della provincia di Fermo, si chiama "coppa" una specie di salame, da non confondere con la "Coppa Pia­centina" che è invece un stagionato, preparato con cotenne, cartilagini, orecchie, lingua e muso del maiale. Questi ingre­dienti vengono messi a bollire per 3 o 4 ore insieme con le ossa dell'animale, dalle quali si distacca poi ogni pezzette di carne utile. Tutte le parti vengono quindi triturate grossolanamente e condite con pepe, cannella, noce moscata, aglio, mandorle e pistacchi. Il composto viene insaccato nel budello (chiamato "trombone" per la sua grossezza) e legato con lo spago, bollito nuovamente nella stessa acqua, infine lasciato raffreddare sotto un peso perché si compatti. Dopo 3 o 4 ore la coppa è pronta.

 

Vino Cotto

II "vino cotto" è un tipico prodotto enologico delle Marche soprattutto delle provincie di Fermo, Ascoli Piceno e Mace­rata. Questo particolare tipo di vino, che può ricordare nel sapore il più famoso vino passito, si ottiene da una tecnica tradizionale che alcuni fanno derivare fin dagli antichi tempi dei Piceni (X secolo a.C.), che in questa zona vivevano, altri invece dai Greci (IV secolo a.C.), una tecnica poi tramandata attraverso i millenni fino ai giorni nostri. Il "vino cotto" era ed è assolutamente presente in ogni cantina che si rispetti e rappresentava in passato parte della dote che ogni donna do­veva portarsi una volta sposata; infatti la cultura contadina vedeva in questa bevanda un utile corroborante dalle fatiche giornaliere nei campi. Dal 2000 con un decreto ministeriale il vino cotto (con le denominazione "vin cotto") è entrato a far parte nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali del­le Marche. Viene utilizzata l'uva dei vitigni tipici della zona.

Una volta pigiata l'uva, si mette il mosto ottenuto in una cal­daia di rame e fatto scaldare (cotto) a fuoco vivo fino a quando l'acqua che evapora lascia la capacità della caldaia a un mezzo di quella iniziale. C'è chi durante questo processo di pastorizzazione aggiunge una mela cotogna ogni quintale di mosto allo scopo di aromatizzare la bevanda. Una volta evaporata questa grande quantità d'acqua, il mosto concentrato viene "rimboccato" in caratelli di rovere dove è già presente quello vecchio degli anni precedenti: molto importante sarà un suo lento e lungo invecchiamento evitando forti ossidazioni. E' proprio questo il punto più importante della sua vinificazione: il giusto dosaggio fra il vino cotto nuovo con quello vecchio e una spillatura accorta che gli faccia evitare problematiche ossidazioni che potrebbero eliminare il suo profumo fruttato.

Caratteristiche:

  • colore, dal granata al rubino;
  • profumo, caratteristico fruttato;
  • sapore, dolce gradevole;
  • grado alcolico 14%.

Quando si fa bollire il mosto nella caldaia per farlo diventare "vino cotto" buono si deve mettere nel mosto un oggetto di ferro, altrimenti il vino prende il sapore di rame.  

 

Ciambellone

Metà anni Novanta: Grottazzolina entra nel Guinness dei pri­mati con il ciambellone più lungo del mondo. L'impresa è ti­tanica: il dolce deve raggiungere la misura di 382 metri. Una distanza (tale è) considerevole. Ma l'intero paese partecipa, un centinaio (specie esperte massaie) gli addetti impegnati. Quan­do i funzionari addetti a registrare il Guinness danno il responso la gioia è incontenibile: il ciambellone misura effettivamente 382 metri. E' davvero il più lungo del mondo, è un record pla­netario.

La ricetta è quella tradizionale grottese:

  • uova, latte;
  • farina;
  • olio;
  • limone grattugiato;
  • lievito Angeli.

Nel taccuino registrato nella storia del Guinness, in riferimento ai prodotti alimentari usati quel giorno a Grottazzolina, figurano questi nu­meri:

  • 4.632 uova,
  • 2.316 litri di latte;
  • 115 litri d'olio;
  • 579 chili di farina;
  • 1.158 limoni;
  • 1.209 bustine di lievito Angeli.

 

Vincisgrassi

I "vincisgrassi", descritti come "princisgras" per la prima vol­ta da Antonio Nebbia nel "II Cuoco Maceratese" (1783), secondo la tradizione dovrebbero il loro nome al principe Windisch-Graetz che li sublimò nel 1799 quando arrivò a capo dell'esercito austriaco per strappare Ancona alle armate napoleoniche. Una ricetta originale è impossibile da definire, perché ogni cuoco marchigiano ha introdotto personalissime variazioni, che però non hanno alterato l'armonia dei sapori di questa pasta al forno.

Preparazione ragù: fare rosolare nel coccio un battuto di pancetta e prosciutto grasso, addizionare poi un trito di cipolla, aglio, sedano, carota che dovranno appassire lentamente con aggiunta di piccole spruzzate di vino bianco secco; aggiungere rigaglie di pollo, passato di pomodoro, sale, pepe, e lasciar sobbollire questo sugo per almeno due ore.

Preparazione pasta: fare una sfoglia sottile con farina e uova; tagliare delle larghe lasagne della grandezza di circa un palmo della mano, lessarle un po' alla volta in abbondan­te acqua salata, e a metà cottura scolarle, passarle in acqua fredda, e adagiarle ad asciugare su un canovaccio.

Ricetta: in una pirofila da forno bagnata con il ragù, adagiare uno strato di pasta alternato a uno strato di sugo spolverato di parmigia­no; ripetere l'intera operazione più volte, chiudendo con un ultimo strato di ragù abbondante. Coprire la pietanza con una finissima besciamella insaporita. E' consigliato preparare i vincisgrassi nel tegame con largo anticipo, perché tutti i sapori si possano ben amalgamare. Per completare la realizzazione e la gratinatura della ricetta, passare la pirofila in forno medio per 45 minuti.  

 

Straccetti in  Brodo

Non una semplice minestra ma una gradevole pietanza otte­nuta da un impasto di formaggio e uova fatto bollire nel brodo.

La realizzazione di questa ricetta è piuttosto semplice; occorre una pentola per preparare il brodo, preferibilmente a base di carne, e nel frattempo mescolare in una ciotola un cucchiaio di parmigiano, uno di pecorino e uno di pangrattato, la scorza di un limone grattugiato preventivamente lavato ed asciuga­to, unire cinque uova, mescolando accuratamente, poi salare e profumare con la noce moscata. Portare la ciotola della crema ottenuta, sul bordo della pentola contenente il brodo in leg­gera ebollizione, e versare a filo la crema di uova mescolando velocemente con una frusta. Lasciare cuocere per 1 minuto sempre mescolando, poi servire subito.

 

Oca Arrosto

Altro piatto tipico della vita agreste di Grottazzolina è l'oca arrosto.

La preparazione di questo piatto non è delle più sem­plici: lavare nel vino l'oca e asciugare con un panno bianco pulito. Ungere l'oca con 50 grammi di olio e massaggiare con il 50% della pomata di lardo (lardo ridotto in pomata battuto con il coltello o macinato, amalgamato con un trito di erba salvia, rosmarino, aglio rosso e condito con sale e pepe), insaporita con le erbe aromatiche. A questo punto, stendere la restante pomata sul petto dell'oca come protezione per la cottura, strofinando il sale grosso sulla parte della pelle sco­perta. Steccare l'oca con i due pezzi di legno e legare con lo spago (fare in maniera che gli stecchi siano più lunghi della casseruola in maniera che rimanga sospesa sul fondo della cas­seruola). Cuocere l'oca a 200° C per un ora e a 120° C per due ore nel forno senza farle toccare il fondo della casseruola ba­gnando solo con il grasso di cottura. La cottura sarà ultimata quando una volta inserito uno spiedo nella parte centrale del petto, l'umore fuoriuscito sarà di un colore rosé chiarissimo.

 

Tagliatelle di Farro Macinato a Pietra

Un'altra ricetta tipica della cucina grottese è quella delle ta­gliatelle di farro macinato a pietra.

La preparazione: Il condimento si prepara facendo soffriggere una cipolla con due spicchi d'aglio; poi aggiungere salsiccia e speck. Per ottenere un gusto più delica­to, sfumare il tutto con un buon vino bianco; infine, mettere qualche fogliolina di maggiorana. Al termine, aggiungere un pizzico di sale. Ovviamente le tagliatelle utilizzate devono es­sere impastate con uova e farina di farro macinato a pietra. 




SCORCI DI GROTTAZZOLINA


 





Fonte Informativa - "Grottazzolina Guida Storico Turistica" 


 

 

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