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Si ringrazia la scuola di cucina Ital.Cook. per la collaborazione.

Le Marche e i suoi prodotti d'eccellenza

Le campagne marchigiane sono costellate di case perché per secoli l’agricoltore (quasi sempre mezzadro) ha vissuto sulla terra che lavorava. La campagna marchigiana in primavera o in estate appare come un dipinto con forme geometriche precise, confini netti, colori accesi. In realtà in questi fazzoletti di terra non c’è un angolo che non sia coltivato.

L’agricoltore è operoso, sa che il prodotto della terra è prezioso e che nulla va sprecato: concetti e sentimenti di un mondo scomparso con l’avanzare del processo industriale ma che oggi nel mondo tutti stanno cercando di recuperare.

Allevare una pecora che assicura il latte e il formaggio, lavorare il vigneto per avere un buon vino, coltivare un angolo di terra per avere i legumi durante l’inverno,nutrire un maiale con prodotti naturali per ottenere un buon prosciutto, assicurarsi una discreta quantità di olio non al supermercato ma direttamente al frantoio: tutto questo fa parte della mentalità del marchigiano, è frutto di un’antica cultura contadina e oggi garantisce prodotti semplici, naturali, buoni, frutto di artigianato alimentare di qualità più che prodotti dell’industria alimentare.

In questi ultimi anni, le Marche hanno impostato la promozione della propria immagine sul fatto di essere l’unica regione italiana “al plurale”. Al plurale per la grande diversità che caratterizza il territorio come la popolazione, la cultura come le attività economiche, il folklore come le tradizioni.
Il patrimonio enogastronomico regionale è senza dubbio l’emblema delle Marche al plurale e in particolare lo sono i 150 prodotti tradizionali presenti in questa regione. Si tratta di prodotti diversissimi tra loro sia come storia che come dimensione produttiva. Tutti i cittadini delle Marche devono infatti sentirsi eredi di una grande ricchezza e allo stesso tempo custodi di quella che possiamo definire l’identità marchigiana.

La storia delle tradizioni marchigiane è la storia di un territorio incredibilmente vario nella sua pur limitata estensione. Contaminazioni di ogni tipo si sono intrecciate nei secoli senza elidersi, ma generando dalla loro commistione nuove tradizioni e nuovi modelli di vita. Come l’aggettivo marchigiano può essere utilizzato solo con una connotazione territoriale, così, nell’agricoltura, nell’allevamento, nella cucina, in genere in ogni attività umana, assistiamo ad una esplosione di differenti modelli che prima di marchigiani sono feltreschi, piceni, esinati, etc; o ancora meglio, urbinati, fanesi, maceratesi, moglianesi, vissani, etc. Il risultato è una irripetibile densità di tradizioni, difficilmente catalogabili e tutte estremamente vive; tradizioni che rendono le Marche il più moderno esempio di come diversità e tolleranza generino benessere e alta qualità del vivere.

La pasta e l’olio, il prosciutto e il formaggio, i cereali ed i legumi

Nelle Marche da sempre si coltivano i cereali, in particolare il grano. Oggi la presenza sia del grano tenero che del grano duro ha favorito la crescita di laboratori artigianali di pasta e si produce sia pasta all’uovo che di pura semola.

Maccheroncini finissimi che cuociono in un minuto si possono trovare accanto alla pasta di semola ottenuta con metodi di lavorazione tradizionali, dalla macinazione fino alla essiccazione.

Le Marche producono una piccola quantità di olio perché i venti freddi dell’inverno talvolta mettono a dura prova l’esistenza stessa dell’ulivo, ma il prodotto che si ricava è di grande pregio; nella Regione alcuni oli extravergine di oliva spesso raggiungono prezzi altissimi sul mercato proprio perché raggiungono l’eccellenza qualitativa.

Allevare un maiale in ogni famiglia era una necessità nel passato. Oggi, nonostante i processi di industrializzazione in corso, nelle Marche c’è un forte rispetto per i metodi naturali di allevamento. Il prodotto finale, infatti, può essere qualitativamente buono solamente se il maiale si è alimentato con prodotti naturali, senza forzare i tempi di crescita. Il benessere di vita di un animale è essenziale per la buona qualità delle sue carni!

Questo vale anche per i formaggi, generalmente di pecora, oggi riproposti utilizzando anche tecniche e metodi di lavorazione manuali, mai industriali.

Tra i cereali riproponiamo il farro, usato fin dall’Antichità prima dagli Etruschi e poi dai Romani. Oggi è stato riscoperto e viene proposto con precise finalità salutistiche. La stessa cosa si può dire per i legumi, un tempo trascurati e oggi tornati sulla tavola di chi cerca metodi di alimentazione più naturale.

LE RICETTE DELLA CUCINA MARCHIGIANA

Cucina di mare e cucina montana:

Le Marche si affacciano sul Mar Adriatico, nella sua parte centrale, e possono attingere al ricco patrimonio ittico di questo mare.

Sulla costa, nel corso dei secoli, si sono consolidate tante tradizioni e il pesce è spesso presente sulla tavola dei marchigiani con spigole, dentici, san pietro, merluzzi, acciughe, sarde, crostacei e molluschi in grande varietà.

Tra i piatti storici tradizionali delle Marche va ricordato lo stoccafisso all’anconetana, giunto nelle Marche attorno al 1500 grazie agli scambi commerciali con la Repubblica di Venezia, lo stoccafisso in potacchio, i vincisgrassi, le olive ripiene di Ascoli, la porchetta, disossata e farcita d'aromi, e i tartufi che si contendono un primato che caratterizza la cucina marchigiana.
Un altro piatto della costa marchigiana è “il brodetto”, un tempo creato dai pescatori con le specie meno nobili che non riuscivano a vendere sul mercato: i brodetti, zuppe di pesce dell'Adriatico, nascono secondo tecniche diverse da luogo a luogo della costa e contano, tra i loro ingredienti, numerose qualità di pesce, come sgombri, passere, rombi, cefali, merluzzetti, sogliole, palombo, cappone, anguille e scorfani, oltre che cicale, scampi, seppie e calamari.

I vincisgrassi sono splendide lasagne rettangolari, condite con ragù di carne e ricoperta di besciamella. Con i cappelletti alla pesarese, ripieni di una farcia di arrosto di maiale, lesso, uovo, parmigiano e noce moscata, rappresentano i più importanti primi piatti locali.

La porchetta, profumata di finocchio selvatico e aglio, croccante in superficie e tenera dentro, e un caposaldo della cucina marchigiana con le saporite olive fritte, ripiene di carne, fegatini e mollica di pane profumati di noce moscata e cannella.
I dolci hanno una tradizione minore, ma si può concludere un buon pasto marchigiano con il classico ciambellone, anche se si preferisce alzarsi da tavola, dopo un assaggio di pecorino dolce e compatto, fresco di pascolo e di erbe buone.

I PRODOTTI TRADIZIONALI DELLA REGIONE MARCHE

I MACCHERONCINI DI CAMPOFILONE

Detti anche capellini di Campofilone, questi sottili
fili dorati sono una specialità ormai apprezzata in tutto il mondo. Numerose le testimonianze storiche che ci parlano di questo prodotto anche in epoche assai remote. Già nel ‘400, in una corrispondenza dell’Abbazia di Campofilone, troviamo una citazione che descrive una delle caratteristiche peculiari di questi “maccheroncini fini fini” dei quali si dice che erano “tanto delicati da sciogliersi in bocca”.

OLIVE TENERE ASCOLANE

Buona, succosa e di facile digestione, quest’oliva, oggi conosciuta a apprezzata ben al di fuori dei confini nazionali, era chiamata, dai classici latini, “picena”. Illustri estimatori ne decantavano la poca presenza di olio ed acidi, la bontà in salamoia (Plinio) o come inizio e fine pasto (Marziale). preparazione che ha reso celebre questo prodotto nel mondo è la versione farcita e fritta “all’ascolana”. La preparazione non è delle più semplici ma il risultato finale è qualcosa di veramente straordinario. Bisogna innanzitutto preparare il ripieno delle olive. Si fanno soffriggere, in olio o strutto: sedano, carota, cipolla e pezzi di carne di bovino adulto e, in quantità minore, carne suina. È possibile anche l’aggiunta di piccole quantità di carni bianche di pollo o di tacchino. Al soffritto, che va preparato a fuoco lento, si aggiungono sale e vino bianco e, eventualmente, salsa di pomodoro. A cottura ultimata, la carne e gli altri ingredienti aggiuntivi vengono triturati e l’impasto così ottenuto viene legato con uova, formaggio grattugiato e spezie. A questo punto le olive, che nel frattempo saranno state snocciolate, vengono riempite con la farcitura e passate nell’uovo e nel pangrattato. Quindi il tocco finale: la frittura in olio extravergine di oliva: una frittura breve che deve durare appena il tempo necessario perché si formi una leggera e croccante crosticina dorata. È un prodotto che vanta non pochi tentativi di imitazione ma la croccantezza e la delicatezza delle olive all’ascolana prodotte sul luogo, con la varietà ascolana tenera locale, non sono assolutamente eguagliabili.

IL CIAUSCOLO

Un gioiello della norcineria marchigiana è sicuramente rappresentato dal ciauscolo, detto anche ciavuscolo o ciabuscolo. La caratteristica che rende questo prodotto immediatamente riconoscibile dagli altri salumi è senza dubbio la sua spalmabilità. Per gustarne appieno le caratteristiche, questo prodotto va infatti consumato nei primissimi mesi dell’anno. Tradizione vuole che, per la colazione della mattina di Pasqua, si affetti il primo salame lardellato da gustare insieme alla tradizionale Pizza di Pasqua al formaggio. Confini temporali quindi, ma anche confini geografici per questo prodotto che trova la maggior diffusione nella provincia di Macerata ed è presente nella parte meridionale della provincia di Ancona e in alcune zone del fermano e dell’ascolano, soprattutto nel comprensorio dei Monti Sibillini.

IL SALAME DI FABRIANO

La qualità del Salame di Fabriano inizia molto prima della lavorazione delle carni; potremmo dire che dipende dallo “stile di vita” del maiale; questo proprio a causa dell’estrema naturalità del prodotto per il quale non si può barare in quanto nulla si aggiunge alle carni se non sale e pepe quanto basta e tanta, tanta esperienza, tramandata di generazione in generazione. Il resto lo fa il tempo. Niente stagionature a tempo di record per il Salame di Fabriano che ha bisogno di qualche mese per esprimere tutte le proprie potenzialità.

IL FORMAGGIO: IL PECORINO DI FOSSA

I formaggi vengono infossati chiusi in sacchi di tela bianca e ogni sacco è contrassegnato in modo che ciascuno possa riconoscere le proprie forme alla riapertura delle fosse. Fosse che, per essere giudicate idonee alla stagionatura del formaggio, devono avere caratteristiche ben precise: essere scavate nella roccia del luogo (principalmente arenaria), avere un diametro variabile da 70 centimetri a due metri e una profondità massima di quattro metri, disporre di un pavimento sopraelevato fatto con tavole di legno, che favorisca il deflusso dei liquidi grassi prodotti dalla fermentazione del formaggio durante la stagionatura e un rivestimento alle pareti formato da uno strato di 10-15 cm di paglia. Ogni fossa che voglia essere utilizzata per la produzione di formaggio deve inoltre superare un severo esame in quanto deve essere sottoposta ad un periodo di prova di tre anni prima di entrare nel ristretto “club” delle fosse riconosciute. La stagionatura deve durare almeno tre mesi e inizia nel periodo che va dal 20 luglio al 30 agosto per terminare con l’apertura delle fosse che avviene dal 10 di novembre fino al giorno di Santa Caterina: il 25 novembre. Il formaggio può essere consumato fino alla produzione dell’anno successivo anche se sono stati assaggiati, con esiti sorprendentemente positivi, anche formaggi di due o tre anni.

BISCOTTI DI MOSTO

Assai apprezzati sono anche i biscotti di mosto, che vengono prodotti nella maggior parte del territorio regionale. Si utilizza mosto di giornata che viene mescolato con farina di grano tenero, olio d’oliva, zucchero, anice e lievito. Dopo alcune ore di fermentazione, si formano dei panetti di colore buno che vengono cotti al forno. A questo punto, il pane così ottenuto può essere consumato tal quale, una volta raffreddato, oppure lo si può tagliare a fette e biscottarlo.

LA LONZA DI FICO

Per quanta cura si possa avere nell’allevare il maiale, nel procurargli la ghianda migliore, nel lavorarne sapientemente le carni, non si potrà mai ottenere una lonza paragonabile alla lonza di fico. È proprio questa, infatti, la lonza marchigiana più conosciuta ed apprezzata al di fuori dei confini regionali. La produzione è concentrata essenzialmente in provincia di Ancona ma esiste, in piccole quantità, anche in alcuni comuni del maceratese. È un dolce dalla caratteristica forma cilindrica, di 15-20 centimetri di lunghezza e circa 6 di diametro che si presenta avvolto da foglie di fico legate con fili proprio come una lonza. L’ingrediente principale è costituito dai fichi essiccati che vengono aromatizzati con mistrà, rum, o con la tradizionale sapa, che ogni tanto vediamo rispuntare negli abbinamenti più vari. Il tutto viene poi macinato aggiungendo noci e mandorle triturate a parte. L’impasto così ottenuto viene modellato finché non assume la forma di una lonza e viene poi avvolto nelle foglie. La lonza di fico si prepara ad ottobre e si mantiene fragrante fino a marzo - aprile.

IL VINO COTTO

Attualmente, il vino cotto si prepara indifferentemente partendo da uve bianche o da uve rosse. Il mosto si fa bollire lentamente in calderoni di rame anche se, recentemente, si stanno effettuando anche delle prove in acciaio per verificare la possibilità di ottenere validi risultati coniugando tradizione e tecnologia. Durante la bollitura, bisogna procedere continuamente a “schiumare” il mosto, ad eliminare, cioè, quella schiuma superficiale costituita dalle sostanze proteiche rese insolubili dall’alta temperatura. In questa fase, si determina una maggiore concentrazione zuccherina e il mosto acquisisce note aromatiche caratteristiche. Si usa anche aggiungere, come aromatizzanti, delle mele cotogne. Per ottenere il classico vino cotto dolce, si fa ridurre la quantità iniziale di mosto in una percentuale variabile tra il 30 e il 50%. Se invece si preferisce un prodotto più secco, basta ridurre opportunamente la durata della bollitura. A concentrazione ultimata si versa il mosto nelle botti di legno dove avverrà la fermentazione. Successivamente, al fine di eliminare il materiale feccioso, possono essere effettuati uno o più travasi. L’invecchiamento avviene in botti di piccole dimensioni e dura almeno un anno, ma può protrarsi anche molto più a lungo. È molto diffusa la pratica del rimbocco che consiste nell’unire il vino cotto nuovo a quello degli anni precedenti. Varie sono pertanto le tipologie di vino cotto, ottenute con tecniche diverse da zona, partendo da uve diverse.

LA SAPA

La potremmo definire come una parente prossima del vino cotto. In effetti, anche la sapa si ottiene attraverso la concentrazione a fuoco diretto del mosto, che in questo caso è molto più spinta in quanto si fa evaporare circa il 70-80% della quantità iniziale di mosto. Un metodo empirico per stabilire l’esatta durata della bollitura (di media 10-12 ore) è quello di versare una goccia di sapa su un’unghia; se non scorre via, è segno che ha raggiunto la giusta densità. La sapa così ottenuta si presenta come uno sciroppo dolcissimo, di colore variabile dall’ambrato al rosso-violaceo, intenso odore di caramello e sapore mielato, sapido e vellutato. Terminata la bollitura, il prodotto viene decantato e poi imbottigliato in recipienti di vetro, dove può conservarsi anche per alcuni anni. Un tempo, la sapa veniva utilizzata principalmente, come il miele, in sostituzione dello zucchero che era assai raro. Era molto apprezzata, tuttavia anche nella preparazione di condimenti balsamici. Ancora oggi, si usa la sapa per impreziosire le pietanze più disparate, abbinandola con una buona dose di fantasia e anche un pizzico di audacia, sia al dolce che al salato. Eccola dunque comparire come condimento per ceci, fagioli o castagne oppure sulla polenta. Così come è frequente ritrovarla nel ripieno di gustosi ravioli dolci, nei cavallucci e come ingrediente di numerosi altri dolci sia natalizi che del periodo di Carnevale. Ma la sapa è impiegata anche in curiose bibite o granite.

CHI SIAMO

ITALCOOK è un ente accreditato ed abilitato per la formazione ed aggiornamento professionale.

La sede situata a Jesi, nella regione Marche, è il punto di incontro delle varie cucine regionali per la sua posizione strategica al centro dell’Italia. L’Istituto organizza corsi di specializzazione per chef, aspiranti chef e professionisti del settore che desiderano approfondire in modo sistematico la conoscenza delle cucine regionali italiane. La scuola ha iniziato la sua attività nel 2003 e ad oggi più di 300 studenti hanno frequentato i nostri corsi, hanno seguito stage formativi presso i migliori ristoranti italiani ed hanno ottenuto il Diploma “Slow Food – Master Italian Cooking”, tornando nel proprio Paese con una conoscenza approfondita della cultura gastronomica italiana e professionalmente arricchiti da questa esperienza. Il nostro obiettivo principale è di fare conoscere le autentiche radici territoriali della cultura alimentare italiana attraverso i principi e la filosofia Slow Food: “Buono, pulito e giusto”.

Italcook organizza anche corsi di studio e formazione personalizzati sia nelle date che nei contenuti didattici per scuole, istituti di cucina esteri ed italiani che vogliono proporre ai loro studenti percorsi formativi sulla cucina tradizionale italiana ma anche per privati che sono interessati alla gastronomia locale. Proponiamo inoltre, oltre alle lezioni pratiche in cucina, visite presso aziende regionali e lezioni monotematiche su olio, vino, formaggi e salumi. Da alcuni anni l’Istituto Superiore di Gastronomia organizza corsi amatoriali per appassionati ed amanti della buona tavola sulle ricette natalizie, sulle ricette pasquali, oltre a numerosi progetti di incoming attraverso tours enogastronomici abbinati a corsi di cucina per promuovere le eccellenze delle Marche; a grande richiesta proponiamo corsi di cucina che si svolgono tutto l’anno sulla pasta, sul pane, sulle carni e sul pesce, aperti alla partecipazione della popolazione locale e turisti ed inoltre lezioni di cucina in collaborazione con alcune scuole di lingua italiana.

A chi ci rivolgiamo?

A turisti italiani e stranieri, innamorati dell’Italia, delle Marche e della sua cultura, che desiderano immergersi nella tradizione e toccarla con mano.

Mani in pasta quindi, nel vero senso della parola! E’ così che vogliamo conquistare cuore e mente di ogni viaggiatore, insegnando le arti culinarie delle nostre terre, i segreti dei nostri piatti. Invitiamo caldamente il turista a mettersi ai fornelli, a rubare i nostri trucchi e le nostre tradizioni culinarie.

Tra i numerosi corsi di cucina presso ItalCook, offriamo anche pacchetti turistici, sapientemente confezionati grazie alla collaborazione con un’agenzia di viaggi e tour operator locale, che coinvolgono l’intera città di Jesi, e i maggiori luoghi di interesse della Marca Anconetana, con escursioni suggerite e visite di degustazione nelle varie aziende locali, per diventare attori nel teatro della tradizione più antica.

ItalCook vuole arrivare al cuore e al palato del turista ed accompagnarlo per mano a conoscere le eccellenze della nostra terra, ancora sconosciute.

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