AvventuraMarche.it

Oops!

It looks like you don't have flash player 6 installed. Click here to go to Macromedia download page.

Welcome to Marche

Santuario della Madonna di Montevago

  • via Fraz. San Pietro in Musio
  • prov AN
  • città Arcevia

informazioni

Piccolo Ranch

0731 982162

www.cavalieridimontevago.it

 

 

Oops!

It looks like you don't have flash player 6 installed. Click here to go to Macromedia download page.

 



 

 

 

 

 

Questa chiesa è la più cara alla devozione e alla memoria del popolo di S. Pietro, sia perché dedicata al culto della Madonna, da sempre più vicina al sentimento religioso popolare, sia perché edificata attorno un'antica immagine della Vergine ritenuta miracolosa e oggetto di particolare devozione da parte degli abitanti del castello e delle contra­de circostanti, tanto da meritare alla chiesa il titolo di santuario. Da una lapide conservata nella sacrestia della chiesa e da altre memorie si ricava che la prima cappellina venne edificata nel 1571, ampliando o ristrutturando una più antica edicola sacra (sacellum).

Questa edicola, di cui non si hanno memorie scritte, era inizial­mente una figura aperta con davanti la sua cancellata; il primo ampliamento fu reso necessario dal gran concorso di pubblico, ini­ziato probabilmente dopo l'esecuzione dell'affresco raffigurante la vergine con il Bambino. Nel 1571, come si è detto, fu allungata di pochi piedi e chiusa con una porta. La nuova cappellina misurava piedi 9 x 7 di base e piedi 9 di altezza, cioè era ampia m. 4 x 3 e alta m. 4. L'affresco tuttora conservato sulla parete di fondo, per quanto malamente ritoccato, rivela la sua chiara impronta cinquecente­sca; secondo l'Anselmi è da attribuire ai pittori Piergentile da Matelica e Venanzio di Camerino, che lavorarono nella collegiata di Rocca Contrada nel 1529-30.

Il luogo quindi già a quella data era oggetto di particolare devozione, tanto da meritare l'opera di artisti di fama, incaricati probabilmente dalla comunità locale. Sul posto esisteva da sempre una sorgente d'acqua, l'unica a disposizione degli abitanti del castello, presso la quale castellani, contadini e pastori sostavano frequentemente per le loro necessità. Le acque sorgive sono state sempre oggetto di particolare culto fin dai tempi pagani e poi anche presso le popolazioni barbariche; nella tradizione cristiana sono state frequentemente associate al culto mariano, rappresentando un esempio classico di quel sincretismo religioso molto diffuso nel medioevo. La stessa cosa probabilmente accadde anche per il santuario di Montevago.

Nel tempo l'affresco perse la sua brillantezza a causa dell'umidità penetrata dal tetto del piccolo edificio, sicché dopo la metà del '600 il pievano don Galeotto Mattei (1658- 1687) commissionò un quadro in tela da porsi davanti il dipinto originale. Vi è tradizione però che "quella sagra immagine restata sempre illesa e bella come si vede al presente non volesse essere ricoperta dal suddetto quadro, ma più volte ritrovato a terra fu collocato per moltissimi anni nel muro laterale". Questo quadro oggi non esiste più.

Nel 1774 il parroco don Girolamo Tenti fece restaurare l'affresco furono ridipinti malamente il panneggio della Vergine e i piedi e le braccia del Bambino, che, come si vede attualmente, sono di mano abbastanza rozza. Fu aggiunta inoltre una raffigurazione piuttosto sommaria del castello. Nel 1742, in seguito al diroccamento della chiesa parrocchiale per il terremoto, la celebrazione delle funzioni sacre venne trasferi­ta provvisoriamente nella cappella di Montevago, dove venne consacrato un nuovo altare alla rustica per celebrarvi la messa. Anche in seguito a questo fatto la devozione per l'oratorio si accrebbe tal­mente da rendere necessaria un nuovo ampliamento dell'edificio.

Nel 1771 il Consiglio del castello decise di demolire l'oratorio di S. Ubaldo e destinarne il materiale alla nuova fabbrica. L'anno seguen­te la cappella venne ampliata con l'aggiunta di una nuova costru­zione ampia piedi 13 x 13 (m. 5,6 x 5.6) e alta piedi 16 (m. 7), venne costruito il campanile e vi fu aggiunta una sagrestia di piedi 6x4 (m. 2,6x 1,7) di ampiezza e 8 di altezza (m. 3,5). Il parroco fece costruire l'altare stabile in pietra cotta, arredò la chiesa di taber­nacolo e confessionali e la fece soffittare abbellendola con gli stuc­chi che si vedono tuttora. Nel 1780 l'edificio custodiva anche una tela della Madonna del Suffragio con S. Sebastiano e S. Rocco, tra­dizionali protettori contro la peste, risalente probabilmente al '600, della quale però si perde successivamente notizia.

Nel 1784 con legato testamentario del 18 aprile Pietro Giuliani, oriundo di Nidastore, istituiva una cappellania con obbligo per il cappellano di celebrare una messa ogni domenica a comodo del parroco e di insegnare la Dottrina Cristiana dall'Ascensione alla festa della Madonna S. Rosario con il compenso di 10 paoli. L'amministrazione e la manutenzione della chiesa restavano comunque al parroco Nel 1833 Pietro Antonio Tarducci, priore della Pia Unione del Cuor Purissimo di Maria, chiedeva al vescovo di poter attivare una questua per iI restauro dell'oratorio, che minacciava nuovamente rovina tanto nelle muraglie che nel soffitto.

Nel 1840 con breve del 21 giugno papa Gregorio XVI, su richiesta del parroco Francesco Barboni e dei priori della Pia Unione Gabriele Trionfetti ed Angelo Pierantonietti, concedeva l'indulgenza plenaria ai fedeli che frequentassero la chiesa della Madonna di Montevago e vi prendessero i sacramenti nei giorni in cui si cele­brava la festa del santuario, cioè la seconda domenica di Novembre e la terza domenica di Pentecoste. Il 24 maggio 1870 Pio IX con­fermava con altro breve l'indulgenza per un settennio .

Nell'ottobre 1908 la chiesa fu dotata di una nuova campana, bene­detta, insieme a quelle di S. Pietro, dal vescovo di Fossombrone. La chiesa ha continuato ad essere oggetto di cure ed attenzioni da parte della popolazione fino ai giorni nostri: nel 1936 il Consorzio degli uomini spendeva 60 lire per far stampare i santini con l'im­magine della Madonna; nel 1940 il presidente Achille Boria conce­deva 500 lire al parroco per il suo restauro. Un nuovo e definitivo restauro si è avuto poi nel 1993. A partire dal 1618 la chiesa potè contare su un capitale di 30 coppe di grano (circa 8 q.li) proveniente dalle elemosine; questo capitale veniva amministrato da due priori e un depositario che lo prestavano ai bisognosi a partire dal mese di novembre con obbligo di restituirlo entro agosto. Inoltre dopo il 1784, in seguito al lascito Giuliani, dispose anche della rendita di un fondo con casa in territorio di Nidastore in località S. Angelo o Monte Vago di 45 coppe e mezza (ha. 8,69) e di un altro fondo in vocabolo Turco di coppe 37,2 (ha. 7,1) . La notorietà del santuario era dovuta, come si è detto, alle virtù taumaturgiche dell'immagine che vi si venerava e la cui festa si celebrava la seconda domenica di novembre. I fedeli usavano raccogliere la terra del luogo dove sorgeva la chiesa in piccoli cenci, che venivano poi bagnati con l'olio della lampada che ardeva davanti l'immagine stessa e applicati al malato.

LE GRAZIE RICEVUTE

In un libro manoscritto intitolato Legato Giuliani della Madonna di Montevago sul finire del '700 il pievano Girolamo Tenti raccolse, oltre ad alcune notizie sulla chiesa, un lungo elenco di grazie o presunte tali fatte dalla Madonna ad abitanti dì S. Pietro e castelli limìtrofi. In genere le grazie erano ottenute invocando la Madonna, cospargen­do la parte malata con l'olio della lampada e/o con la terra della chiesa, portando il malato direttamente all'Oratorio e così via. In molti casi i miracolati portavano poi all'altare della Madonna le testimonianze della grazia ricevuta, come la stampella, il metallo del fucile scoppiato, pezzi di ossa o altri elementi organici, che evi­dentemente a quel tempo non suscitavano fastidio o ribrezzo in chi frequentava la chiesa, anzi servivano per rafforzare la fede e ali­mentare le offerte; qualcuno cominciava ad offrire i doni simboli­ci, come i cuori d'argento, che avranno poi tanta diffusione in seguito.

Le testimonianze sulle grazie ricevute, che coprono un arco temporale di poco più di vent'anni (1750- 1773), furono raccolte dal parroco in parte attraverso le testimonianze della gente del posto, in parte attraverso l'osservazione diretta durante il suo ministero iniziato nel 1762. Si tratta di 78 casi, sulla cui fondatezza scientifica è certamente impossibile esprimere un giudizio, che costituiscono tuttavia un documento incontestabile della fede popolare, spesso unica certezza e risorsa di fronte alla durezza della vita e allo scarso affidamento che offriva la medicina del tempo.

Dal punto di vista storico offrono anche una rappresenta­zione viva e immediata della psicologia collettiva e di alcuni aspet­ti delle condizioni di vita della gente della campagna. L'elenco inizia con due eventi che sottolineano la protezione offerta dalla Madonna a tutta la popolazione di S. Pietro nei momenti di pericolo. Il primo è il terremoto del 24 aprile 1741, che distrusse il tetto della chiesa parrocchiale, diroccò molte case, ma a differenza di altri luoghi non fece vittime, poiché in quel momento tutti gli abitanti si trovavano nelle campagne. Il secondo è il pas­saggio dell'Armata spagnola nel 1755 durante la Guerra dei Sette Anni, quando i contadini furono costretti a trasportare con carri e bestiame le salmerie delle truppe verso la Marina o altrove. Postisi però in viaggio, furono fermati da un contrordine che permise loro di tornare alle rispettive case. Seguono poi le grazie individuali in numero di 78, che interessano non solo gli abitanti di S. Pietro, ma anche quelli dei castelli e delle contrade vicine. I casi più numero­si riguardano persone provenienti da Palazzo (18) e da Loretello (17), seguono quelle di S. Pietro (11), Montesecco (9), S. Apollinare (5), Nidastore (4) e via via altri della Torre, S. Ginesio, Ripalta, Castagna, S. Vito, S. Lorenzo e Corinaldo. Le donne che ricorrono alla Madonna sono nettamente più numerose degli uomini (48 contro 30), e questo è spiegabile non solo con la loro più accentuata sensibilità religiosa, ma anche con le frequenti complicazioni legate al parto, che rappresentano i casi più numerosi (10) dopo quelli delle malattie di varia natura, improvvise (16) o croniche (27).

Spesso i malati ricorrono alla Madonna quando ormai non hanno più speranza di guarire, addi­rittura sono stati spediti dal professore o hanno ricevuto i sacra­menti; dopo di che la guarigione appare inevitabilmente come un evento miracoloso. Di molte malattie non si da nessuna definizione, forse perché ignote allo stesso medico (il professore), il quale in molti casi si limi­ta a constatarne la gravita' senza poter opporre alcun rimedio in qualche caso se ne indicano i sintomi, per lo più febbre alta e continua, a volte accompagnata da mal di stomaco, spesso da infermità. In due casi si tratta di febbri malariche contratte nella Campagna Romana, dove già si recavano i giovani delle famiglie contadine più povere nel periodo invernale per sopravvivere o raggranellare qual­che soldo.

Ne sono interessati Giuseppe di Biagio Cenci di Palazzo nel 1771 e Nicola fu Francesco Banci della Torre nel 1772. Una componente rilevante degli stati patologici era certamente la mancanza di igiene, che causava frequenti infiammazioni agli arti con fistole o degenerazione in cancrena. E' il caso nel 1761 di Maria Francesca di Angelo Banci dalla villa di Bregnoni di S. Apollinare, cui per un mal nascente o cancrena venutole nella gamba destra dopo due anni di insopportabile dolore il professore ordina il taglio dell'arto. Il padre si oppone al taglio e le cosparge la gamba con l'olio benedetto e la terra prelevati dall'Oratorio. La mattina dopo ritrovò un osso intiero lungo un palmo uscitole dalla gamba offesa e la malata era guarita.

La stampella e l'osso furono portati all'altare della Madonna, dove si vedevano ancora al tempo del parroco. Caso analogo nel 1763 quello di Ortensia di Girolamo e Lucia Bruni alias Zingara di S. Ginesio, che per una cancrena alla gamba venne portata direttamente alla chiesa; tornata a casa le uscirono dalla ferita molti pezzetti di ossi, che furono esposti al santuario per grazia ricevuta Questo dei pezzi di ossa o di materia organica che escono dalla parte malata è un tema ricorrente, che ci limitiamo a segnalare, non sapendone offrire una spiegazione scientifica. In altri casi la cattiva igiene causa infezioni di varia natura, la più grave delle quali appare la scabbia o rogna, come il caso nel 1766 di Tomassa vedova del maestro Andrea Severini di Palazzo essendo ripiena di una schivosa lepra o rogna che essendo impedita a lavorare per procacciarsi il necessario o nel 1769 quello di Catarina di Biagio Focilaro di Campurano essendo ripiena nella fac­cia di schivose ulcere.

Non mancano casi di scrofola, come nel 1772 quello di Maria Antonia figlia di Giambattista Cennillo di Palazzo ripiena di scrofole nella gola e nel collo; altre infezioni sono di origine venerea (gonorrea o sifilide) e riguardano gli uomi­ni; in altri casi si tratta di infiammazioni al naso, ai reni ecc. Molto frequenti, come si è detto, per le donne sono gli stati di infermità o comunque di rischio per la vita legati alla difficoltà di partorire o alle conseguenze di un parto mal riuscito, spesso anche a causa della mancanza di assistenza o di igiene. Un esempio significativo ci sembra quello di Camilla moglie di Domenico Puliti detto Menco Risecco da Loreto, che l'anno 1770, avendo dato alla luce tre fanciulli tutti ad un parto ed essendo stata ore 24 a liberarsi per mancanza di opportuno ajudo e trovandosi in pericolo di perdere la vita mortale, bagnata coll'olio e terra di questo oratorio e subito finite le litanie della SS. ma Vergine, fatta da una donna l'operazione, restò immediatamente guarita e liberata.

Alta anche la mortalità infantile per cattive condizioni ambien­tali, soprattutto alimentari, di fronte ai quali la medicina del tempo sembra del tutto inadeguata, come nel caso di Agata di Francesco Paoletti di S. Pietro, che l'anno 1763, non potendo più soffrire di veder penare un piccolo di lei figliolo ridotto smunto ed esangue da parecchi mesi di malattia e senza ristoro umano e neppure del proprio latte, ispirata dalla SS. ma Vergine di portarlo in questo oratorio ed avendolo pietosamente disteso sopra l'altare, supplicò la SS.ma Vergine con tutto il fervore o per la salute umana del detto figliolo o per la salute eterna. Appena giunta a casa sua col detto figliolo, incessantemente spirò l'anima del piccol fanciullo e fu subito l'afflitta madre esaudita dalla SS. ma Vergine della grazia richiesta.

L'interpretazione dell'intervento divino in questo caso ci sembra però molto soggettiva. Le descrizioni più pittoresche sono quelle relative agli incidenti nel lavoro agricolo, come le frequenti cadute dagli alberi. Giambattista Facchini detto della Selva del castello di Loreto molti anni scorsi cadde da un alto albero con un ferro da due tagli detto volgarmente falcino e ritrovandosi in terra in piedi col ferro in mano senza lesione alcuna nella propria vita, se non che tagliatosi il cappello da una parte che portava in testa, e nell'atto di cadere disse "SS.ma Vergine di Montevago soccorretemi". Tal successo e grazia ricevuta il medesimo Gianbattista ha racconta­to a me di propria bocca che era molto obbligato alla SS. ma Vergine per tal grazia ricevuta e che non si scordava mai di ringraziarla.

Non mancano ovviamente le ferite incidentali da arma da fuoco nelle situazioni più svariate. Nel 1766 Francesco Cenci da S. Pietro la sera della vigilia del Patrocinio della SS.ma Vergine nel sbarrare una pistola avanti l'oratorio tirando a schioppo per l'allegria della festa, li crepo' detta pistola fattasi in minuti pezzi senza lesione di lui, né dei molti compagni che gli stavano appresso. Poco frequenti sembrano nel '700 gli incidenti dovuti al rovesciamento di carri agricoli, anche perché forse questi mezzi di tra­sporto erano ancora poco diffusi, certamente meno di quanto lo saranno poi successivamente, come dimostrano le più tarde tavolette votive. Nel 1771 Maria di Camillo Polverari ed Antonia sua figlia di S. Pietro li' 17 agosto nella Piantata detta il Vignale vici­no alla strada, essendosi aperto il carro carico dal collo dei bovi, ritrovandosi sopra detto carro la detta figlia e dietro la suddetta Maria madre, che per grazia della SS. ma Vergine ebbe tempo la madre scarnarsi e la figlia salvare dal carro con pericolo di resta­re l'una e l'altra priva di vita, che per miracolo restarono libere e illese nella loro vita, riconoscendo per grazia e beneficio di que­sta SS.ma Vergine, che ringraziarono di un tanto favore corrispostoli.

Non mancano casi di aggressione armata per vendetta. Nel 1760 Domenico del fu Pietro Antonio Puliti del castello di Loreto nel ritorno che faceva da Casteleone verso la sua Patria, assalito impensatamente con un coltello alla mano da un suo avversario senza potersi difendere, fu ferito in molte parti del corpo; il quale ritrovandosi in tal cimento senza soccorso disse "Madonna SS.ma di Montevago soccorretemi". Cessò l'avversario e fuggì; alzatosi il paziente e strette le ferite al miglior modo si ricondusse a casa e in ricognizione della grazia portò in questo oratorio la camiscia lace­rata in molte parti insanguinata.

Le case coloniche, oltre che mal costruite a causa della povertà, mancavano spesso della necessaria manutenzione e non erano rari i crolli. La notte della vigilia della Madonna SS. ma del Carmine li 15 luglio dell'anno 1765 cadde tutto il tetto intiero di una stanza del colono di questa cura di S. Pietro, di dove furono ricavate tre donne tra quelle macerie e legni, le quali dormivano nel letto senza nocimento notabile di alcuna, benché le fosse stato fracas­sato il letto e ricavate sotto dei legni e travi. Una delle quali per nome Gentile depose che nell'atto che si sentì cadere detto tetto, invocò con tutto lo spirito "Madonna SS.ma di Montevago soccorreteci" e così per interecessione della beatissima Vergine restarono esenti dalla pericolosa e minacciata morte, altrimenti da tutto quel grave peso sopra la loro vita non sarebbero potute vivere. E queste donne, la madre, la figlia e la serva, cioè Apollonia, Gentile e Francesca erano de Mantenovo, coloni di questa Pieve, dette di Bernardino Artibani detto Boncio.

Non mancano nemmeno casi di pazzia o isteria violenta. Maria Mescolini moglie di Lucangelo di Piermani di Montesecco l'anno 1772 la vigilia della natività della SS.ma Vergine, sorpresa da una veemente passione di pazzia, salita in cima di un 'alta cerasa si gittò giù da quella e si ruppe una gamba:, poi si alzò e discostasi pochi passi trovò un forcone nuovo di ferro e percotendosi con quello nel petto si cacciò un ferro di esso entro il corpo che gli penetrò alquanto a dentro per l'ingiù e non potendosi neppure con questo darsi la morte si traginò fino al fiume e da una alta balza si gitto' in un profondo gorgo di acqua per annegarsi e darsi la morte, ma per intercessione di questa SS.ma Vergine, come ella attesta, si ritrovò fuori dall'acqua dall'altra sponda del fiume. Ella più si sforzava di rientrare nell'acqua, più si sentiva di ritirarsi a die­tro che alla fine passò per quella via una serva di casa che riconduceva il suo bestiame a casa e nel sentire le strida della medesi­ma per il gran dolersi della gamba rotta, accorse e tiratala fuori dall'acqua fu riportata alla casa, la quale medicata dal professore dopo alquanti giorni si guarì e si riparò detta gamba e ferita che aveva nel corpo. Il tutto riconoscendo per beneficio della SS.ma Vergine che gli aveva scampata la morte eterna dell'anima e del corpo.

Al di là della drammaticità del caso, oggi difficilmente sareb­be possibile annegarsi nel fiume Cesano e tantomeno nel Nevola. Gli abitanti di S. Pietro menzionati nel lungo elenco di grazie sono 11, come si è detto. Li elenchiamo come documento delle famiglie allora residenti nel castello e nel territorio: Cenci Francesco, Maria moglie di Fiduzi Agostino, Paoletti Agata di Francesco, Polverari Maria di Camillo, Maria di Simone Roscino, Angelo Spreca fu Giammaria, Angela moglie di Spreca Giuseppe (2 volte), Tarducci Nicola, Tittoni Maria Rosa di G. Battista, oltre alla famiglia di mezzadri della parrocchia originari di Montenovo.

LE CONFRATERNITE

Poche sono le notizie che restano delle confraternite di S. Pietro, il cui ruolo prevalente era quello devoziona­le con modeste funzioni di carattere sociale od economico. La più antica risulta quella del SS. Rosario, cui spettava la manutenzione dell'altare omonimo nella chiesa parrocchiale. Una memoria del­l'archivio vescovile fissa la sua erezione alla data 17 settembre 1609; il culto era però più antico, come testimonia la tela dipinta dal Ramazzani nel 1587. Agli inizi del '600 godeva la rendita di alcuni censi derivanti da legati testamentari e da utilizzare a scopo di culto. Gestiva inoltre 14 coppe di grano (3/4 q.li) della parroc­chia, probabilmente a fini di prestito a favore dei più poveri. Esisteva ancora nel 1853, quando aveva un modesto capitale di 17 scudi. Meno antica forse, ma destinata ad assumere poi maggiore importanza, era la Confraternita del SS. Sacramento, di cui si ha la prima testimonianza nel 1815, quando è registrata nel catasto per una modesta proprietà di ha. 0,959.

Nell'archivio parrocchiale si conserva un libro di amministrazione dal 1838 al 1891, relativa alla gestione dei pochi appezzamenti di terra, di alcuni censi e delle offerte dei devoti; nessuna notizia però sulla sua vita interna, né sugli iscritti. Nel 1853 aveva un discreto capitale di scudi 116. 66. 6 ¼ . Il 3 gennaio 1833 venne istituita la Pia Unione del Cuore Purissimo di Maria Santissima della Madonna di Monte Vago, allo scopo di solennizzare la festa della Madonna la seconda domenica di novembre, di far celebrare l'officio per i soci defunti e 4 messe alla morte di ogni iscritto. Furono presenti all'atto di istituzione il pievano don Francesco Barboni, don Giovanni Sabatini, il sindaco Pietro Antonio Tarducci, Nicola Tarducci, Giuseppe Tassi, Giuseppe Vennarini detto Sdogato, Pasquale Mencarelli, Domenico Vennarini, Vitale Donnini, Domenico Bucchelli, Angelo Bucchelli, Giuseppe Donnini, Giovanni Polverari, Nicola Ciccotti, Camillo Polverari, Carlo Tassi, Andrea Moroncini e Domenico Zoppi.

Allo scopo di dotare economicamente il sodalizio il pievano cedette all'associazione le offerte dei fedeli e la coppa di grano derivante dal legato Domizi, a condizione che rimanesse unita alla Compagnia del SS. Sacramento. Il regolamento prevedeva che la Pia Unione fosse rappresentata da 12 laici oltre al clero iscritto, che potessero aderirvi persone di ogni luogo e ceto dai 15 ani in poi dietro pagamento di una tassa di iscrizione secondo l'età (da 5 a 60 baiocchi) e di una quota annuale di 5 baiocchi. L'Associazione aveva anche il compito di amministrare la chie­sa di Montevago, curandone anche la manutenzione, come quan­do nel 1833 il priore Pietro Antonio Tarducci chiedeva al vescovo di poter attivare una questua per il suo restauro; a questo scopo ne gestiva anche il capitale, che nel 1853 ammontava a 150 scudi. Nel tempo il sodalizio subì un progressivo calo degli iscritti e quindi delle entrate, per cui nel 1880 il vescovo disponeva di diminuirne proporzionalmente gli obblighi statutari. Esisteva ancora l'anno 1900, dopo di che viene meno ogni notizia sulla sua esistenza. Nel 1918 venne istituita la Confraternita del sacro Cuore di Gesù con annesso Circolo Femminile con scopi devozionali e assi­stenziali; se ne conservano i registri delle adunanze fino al 1926.

Cavalieri della Madonna di Montevago

Nei decenni seguenti, come si è detto, qualche edificio veniva demolito, altri venivano ristrutturati, i tratti di mura sopravvissuti erano oggetto di restauri che ne modificavano l'aspetto. Nel corso del Novecento scompariva la porta, venivano aperte due strade di accesso sul lato nord, veniva demolita la chiesa dopo il bombardamento del 1944 e via via quasi tutte le abitazioni si svuotavano di abitanti, in parte per l'emigrazione, ma soprattutto perché ne venivano edificate di nuove ai piedi dell'antico poggio e lungo la strada provinciale.

Oggi solo pochi edifici sono abitati stabilmente. Il castello di S. Pietro sopravvive soprattutto come memoria storica, principalmente grazie alla tradizione della Madonna di Montevago, il cui culto è stato restaurato e rinnovato recentemen­te per iniziativa del pio sodalizio dell'Ordine dei Cavalieri di Montevago.

Questa associazione è stata fondata nel 1996 da un gruppo di amici con lo scopo precipuo di evitare l'abbandono della chiesa, promuovere il culto della venerata immagine della Madonna e celebrarne la festività ogni anno la prima domenica di ottobre. Alla sua costituzione hanno preso parte Walter Boria di Nidastore, Giancarlo Bugarin di Fossombrone, Fabrizio Ferretti di Montale, Marco Rasori di Nidastore, Angelo Sgreccia di S. Pietro e Leonello Stefanini di Arcevia.

Fra i suoi soci annovera oggi anche personaggi di rilievo, quali l'artista Bruno d'Arcevia, il senatore Domenico Barile di Monte Vago di Agrigento, P. Stefano Troiani, don Germa­no Piersanti, padre Ezio Giannini, lo studioso Gabriele Petromilli, il maestro di arte grafica Alberto Ribichini, la dottoressa Giuliana Cucchieri Guazzati, l'inciso­re orafo Dino Barboni.

Ha la sua sede sociale presso l'Agriturismo Piccolo Ranch, un'altra istituzione ormai affermata, anche se di diversa natura, che contribuisce a conservare e far conoscere il castello di S. Pietro.  

 

© AvventuraMarche 2008 . Tutti i diritti riservati, loghi e fotografie gentilmente concessi dai rispettivi proprietari.

Disclaimer . Privacy . P.IVA 02377840422 .

www.appartamentistellaalpina.it Appartamenti Stella Alpina