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Monastero di Fonte Avellana (Camaldolesi Ord.e S Benadetto)

informazioni


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Il Monastero di Fonte Avellana è situato alle pendici del massiccio montuoso del Catria (1701 m.) a 700 metri sul livello del mare. Le sue origini si collocano intorno all’anno Mille ma è certo che già negli ultimi decenni del X secolo alcuni eremiti avevano scelto di dimorare in questa boscosa insenatura della montagna caratterizzata da una vasta presenza di alberi di nocciolo (le avellane) e da una sorgente d’acqua. Sulla spiritualità di questi eremiti influì certamente San Romualdo di Ravenna, Padre della Congregazione benedettina camaldolese. Egli, infatti, visse e operò fra il X e l'XI secolo in zone vicinissime a Fonte Avellana, quali Sitria, il monte Petrano, e San Vincenzo al Furlo.

Molte delle consuetudini eremitiche avellanite erano pressoché identiche a quelle in uso a Camaldoli ed in altri luoghi romualdini ed anche la Regula vitae eremiticae scritta da San Pier Damiano per Fonte Avellana, infine, ha molti elementi dottrinali in comune con le Costitutiones del Beato Rodolfo, IV priore di Camaldoli. Lo sviluppo di Fonte Avellana iniziò con San Pier Damiano, alla cui forte personalità si devono non solo il nucleo originario della costruzione, ma più ancora l'impulso spirituale, culturale e organizzativo che resero l'eremo centro d'attrazione e di diffusione della vita monastica e che influirono fortemente sulla riforma religiosa e sulla vita sociale. Grazie a questa figura eccezionale di monaco e di uomo di chiesa, il monachesimo avellanita e camaldolese ha potuto presentarsi, nella sua storia pluricentenaria, come esperienza qualificata del cristianesimo. In questo eremo, infatti, si formarono circa cinquanta vescovi e un folto stuolo di monaci noti per santità e dottrina.

Una tradizione costante e molto antica vuole che anche il Sommo Poeta Dante Alighieri sia stato ospite di questo monastero che cantò nella Divina Commedia:

"Tra ' due liti d'Italia surgon sassi,

e non molto distanti a la tua patria,
tanto che ' troni assai suonan più bassi,

e fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale è consecrato un ermo,

che suole esser disposto a sola latria"

Secondo gli Annales Camaldulenses che derivano questa tradizione da altri storici a loro anteriori, il Sommo Poeta nel 1318 era ospite di Bosone di Gubbio e in quell'anno sarebbe venuto a Fonte Avellana. Eretta abbazia nel 1325, Fonte Avellana divenne una potenza socio-economica e, di lì a poco (1392) conobbe la pratica delle commende (XIV - XV sec.). La commenda consisteva nell'affidamento dei benefici o dei beni di proprietà di un monastero o di un'abbazia a persone estranee, per lo più di alto rango ecclesiastico o civile, al solo scopo di far la fortuna di queste. Per tale motivo la commenda è considerata una piaga, una di quelle disgrazie che contribuirono moltissimo alla decadenza morale, oltre che materiale, di moltissimi centri monastici.

Fonte Avellana restò "commendata" fino a quasi tutto il 1700 ed anche se ebbe dei commendatari come, per esempio, il Card. Giuliano della Rovere poi Giulio II, che lasciarono segni di carattere edilizio ed abbellimenti del tutto degni di nota, nondimeno risentì profondamente degli inevitabili condizionamenti, motivo per cui la decadenza della sua vita monastica, anche se lenta, fu inesorabile. Tale declino si concluse con la soppressione napoleonica del 1810 e di lì a poco quella italiana del 1866. Fonte Avellana, tuttavia, ha continuato a vivere come alimentata da una sorgente interiore ed oggi, tornata ai monaci camaldolesi, ha ritrovato oltre alla bellezza austera delle sue strutture architettoniche (sec. X - sec. XIX) ormai riportate quasi per intero alla loro bellezza primitiva, anche quella fede e quella cultura che l’hanno contraddistinta fin dalle sue origini.

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